Appunti sui fondamenti patristici della consacrazione

Fondamenti patristici

 

  1. Luca Genovese (OFM Cap.)

 

              La trattazione della consacrazione a Maria nei Padri richiederebbe una approfondita analisi di molti testi patristici in un periodo di tempo lungo circa 800 anni, impresa che farebbe rabbrividire il più esperto patrologo. Per questa trattazione mi limiterò a citare alcuni autori più significativi sui punti essenziali della realtà della consacrazione alla Vergine nei primi secoli della Chiesa.

1.    Formule individuali di consacrazioni a Maria.

Non tanti atti di affidamento si possono trovare nel corso del Primo millennio cristiano. Tuttavia in due casi possiamo già cogliere la sostanza dell’affidamento che verrà sviluppato nei secoli successivi dagli scrittori ecclesiastici, in modo particolare da S. Luigi Maria Grignion de Montfort e da S. Massimiliano Kolbe.

Il primo autore nei cui scritti si incontra la prima formulazione dell’affidamento a Maria è S. Ildefonso di Toledo. Siamo già in epoca tardiva, nel VII secolo, epoca del dominio dei Visigoti in Spagna, cosa che però non impedisce un certo sviluppo culturale. Ildefonso, prima Abate del Monastero dei SS. Cosma e Damiano e poi Vescovo della città di Toledo, sollecitato a questa carica dallo stesso re visigoto Recesvinto, conserverà sempre una tenera devozione per la Madre di Dio, che pare gli apparve anche durante una celebrazione religiosa per offrirgli personalmente la pianeta sacerdotale e convincerlo così ad abbracciare il sacerdozio. Difese la Verginità di Maria allo stesso modo in cui vi si era applicato, trecento anni prima, il santo dottore Girolamo di Stridone.

Ecco il testo della consacrazione, tratto proprio dal suo trattato sulla Verginità di Maria:

Ed ora mi rivolgo a te, o sola madre di Dio e Vergine, mi prostro davanti a Te, o solo capolavoro dell’Incarnazione del mio Dio; mi umilio davanti a Te che sola sei stata riconosciuta Madre del mio Signore, io ti prego, Tu che sola sei stata riconosciuta come Ancella del Figlio tuo, di ottenere che siano distrutte le colpe dei miei peccati; ottienimi di amare la gloria della tua verginità, rivelami la grandezza della dolcezza del Figlio tuo, concedimi di parlare e di difendere la verità della fede del Figlio tuo, permettimi pure di aderire a Dio e a Te, di sottopormi al mio Signore e a Te; a Lui come mio Creatore e a Te, come Madre del mio Creatore; a Lui come Signore delle potenze del Cielo, e a Te come Ancella del Signore dell’universo; a Lui come a Dio, e a te come Madre di Dio; a Lui come mio Redentore, a te come cooperatrice della mia redenzione. E veramente, quanto Egli ha compiuto per la mia redenzione, lo ha attuato, derivandolo dalla verità della tua persona. Nell’essersi fatto mio redentore, è diventato Figlio tuo. Nell’essersi fatto prezzo del mio riscatto, la sua Incarnazione è frutto della tua carne, e in essa Egli sanò le mie piaghe; dalla tua carne Egli trasse il corpo destinato alle ferite, e con esso Egli distrusse la mia morte; dal corpo della tua mortalità Egli trasse il suo corpo mortale, con il quale poté distruggere i miei peccati che Egli si addossò. Egli prese da Te il corpo senza peccato, assunse dalla realtà del corpo della tua umiltà la mia stessa natura, che Egli, precedendomi nel Suo Regno, collocò nella sede del Padre suo al di sopra degli angeli. Pertanto io sono tuo servo, perché il Figlio tuo è il mio Signore. Perciò sei tu la mia Signora, perché sei l’ancella del mio Signore. Perciò io sono il servo dell’ancella del mio Signore, perché tu, o mia Signora, sei diventata la Madre del mio Signore. Io ti prego e ti supplico o Santa Vergine, affinché io accolga Gesù, da parte di quello Spirito, per opera del quale tu hai generato Gesù. L’anima mia possa ricevere Gesù grazie a quello Spirito, per opera del quale la tua carne ha concepito Gesù. Mi sia dato di conoscere Gesù per quello spirito dal quale ti fu dato di conoscere, possedere e partorire Gesù; che io possa manifestare intorno a Gesù le cose umili e le cose alte per quello Spirito, grazie al quale ti sei professata ancella del Signore, desiderando che a Te avvenisse secondo la parola dell’Angelo; che io ami Gesù in quello Spirito, nel quale tu lo adori come Signore e lo contempli come tuo Figlio; che io tema con tanta sincerità questo Gesù, quanto sinceramente Egli, pur essendo Dio, era soggetto ai suoi genitori[1].

 

La formula è molto diversa da quelle che conosciamo nel tempo più vicino a noi, a cominciare da quella di S. Luigi Grignion de Montfort. Lo stile è più omiletico e declamatorio. Il saggio che egli scrive è altamente apologetico e ricco di trovate colte e retoriche. L’autore non si risparmia ricercatezze, (ritornelli, forma litanica, chiasmo) che servono a stimolare il lettore, ma certamente non nasconde una grande profondità teologica, poi sviluppata nei secoli successivi.

            La preghiera è rivolta a Maria perché ella ‘riveli il suo Figlio’, faccia aderire il consacrante a Lei e al Suo Figlio, con lo scopo di ‘difendere la verità della fede del Figlio’.

            La consapevolezza del peccato pure è presente nella formula, ed è la base di umiltà necessaria per rivolgersi a Maria. In Montfort ricordiamo la schietta formulazione ‘io…infedele peccatore”…Segue poi l’affidamento totale alla Vergine, anche se non si parla in S. Ildefonso di potenze, di corpo e di anima, o di meriti, ma solo di unione, e infine traspare l’approccio missionario della Consacrazione (“parlare e difendere la verità di fede del Tuo Figlio”) oltre a un ardente desiderio di servire e di amare perfettamente anche il Figlio della Vergine.

            Quattro dunque i momenti della consacrazione.

  • La presa di coscienza del proprio nulla e del proprio peccato;
  • L’affidamento vero e proprio;
  • La missione per diffondere la fede;
  • Professione di fede nella servitù a Maria e a Gesù.

Non manca la profondità teologica con cui l’autore si sforza di spiegare i grandi misteri della fede, che rendono la formula consacratoria quasi una catechesi sulla grandezza della mediazione di Maria, soprattutto nel mistero dell’incarnazione e della sofferenza redentiva di Cristo.

La collocazione che S. Ildefonso dà alla B. Vergine al centro di tutto il mistero della vita del Cristo, dice di una teologia già molto sviluppata nei confronti dei privilegi di Maria, tanto da indicarla già “cooperatrice della redenzione”, formula che sarà adottata nelle espressioni mariologiche del Concilio Vaticano II[2].

Ella fornisce il corpo umano di Cristo, non solo per permettere l’Incarnazione, ma anche la sua sofferenza salvifica. Ciò colloca Maria Santissima nei fasti delle più grandi altezze della storia della Salvezza non solo per le grazie ricevute, in vista dei meriti di Cristo, ma per la sua straordinaria partecipazione con tutta se stessa agli eventi redentivi del Figlio Suo. Cosicché ella si trova al centro non solo del mistero di Cristo ma anche della redenzione di ogni uomo e di tutti gli uomini.

La formula di consacrazione diventa, oltre che un riconoscimento della grandezza e dell’importanza della Madre di Dio, una risposta piena di fede e di amore alla sollecitazione proveniente dalla Rivelazione, cioè da Dio stesso che vuole mettere nelle mani di Maria l’umanità malata e renderla così conforme alla dignità del Figlio Unigenito, concepito e offerto per le mani di Maria.

 

L’altra formula di consacrazione, di qualche decennio più tardiva, la troviamo in oriente, ad opera del Santo monaco e Dottore della Chiesa, Giovanni Damasceno, attivo soprattutto a Gerusalemme a cavallo tra il VII e l’VIII secolo:

Anche noi oggi ti restiamo vicini, o Sovrana; sì, lo ripeto, Sovrana, Madre di Dio e Vergine, legando le nostre anime alla tua speranza, come ad un ancora saldissima e del tutto infrangibile (Cfr Eb 6, 19), consacrandoti mente, anima, corpo e tutto il nostro essere e onorandoti, per quanto a noi è possibile, con salmi, inni e cantici spirituali (Ef 5, 19). E’ impossibile una maniera adeguata. Se davvero, come ci ha insegnato la parola sacra, l’onore reso ai compagni di servitù testimonia della benevolenza verso il comune padrone, come trascurare l’onore per te, che hai generato il tuo Padrone? Non va ricercato alacremente? Non è da anteporre perfino al soffio vitale, e non è fonte di vita? In questo modo potremmo caratterizzare meglio l’affetto verso il nostro Padrone. Ma che dico verso il Padrone? E’ sufficiente in realtà per questi che serbano pienamente la tua memoria, il dono preziosissimo del tuo ricordo: è questo il culmine di una gioia che non può essere sottratta. Di quale letizia, di quali beni é ricolmo colui che ha fatto del suo intelletto lo scrigno del tuo santissimo ricordo? Questa è la nostra offerta di ringraziamento verso di Te, le primizie dei nostri discorsi, il saggio del nostro umile pensiero che, mosso dall’amore per te, ha dimenticato la propria debolezza. Accetta comunque con benevolenza questo desiderio appassionato, sapendo che va al di là delle nostre forze. Volgi lo sguardo verso di noi, nobile sovrana, Madre del Buon Sovrano; governa e dirigi quel che ci riguarda a tua discrezione, trattenendo gli impeti delle nostre vergognose passioni, guidandoci al porto senza tempeste della divina volontà, stimandoci degni della futura beatitudine, della dolce illuminazione al cospetto del Logos di Dio, che da te si è incarnato. Con Lui al Padre gloria, onore, forza, maestà e magnificenza, in unità con lo Spirito Santissimo, buono e vivificante, ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen[3].

 

Nonostante lo stile anche qui scopertamente omiletico, del resto a quei tempi l’omelia era il genere letterario più diffuso a differenza di oggi, si colgono qui riflessioni più mature sulla natura della Consacrazione che ci avvicina sensibilmente alle formule più moderne.

              L’espressione “consacrandoti mente, anima, corpo e tutto il nostro essere”, specifica in maniera approfondita l’offerta di sé alla Vergine, compiuta non più in maniera generica, come per Ildefonso di Toledo, e sebbene le domande retoriche che magnificano la grandezza di Maria e la sua dipendenza totale da Dio rendono un poco prosaico il testo, esse sottolineano ancor più il fine della Consacrazione che è Gesù Cristo, che per la mediazione di Maria, deve condurre il consacrato alla beatitudine per mezzo della vittoria sulle “Vergognose passioni” e sulle tempeste del mondo.

Anche qui si possono distinguere quattro differenti momenti:

  • L’affidamento vero e proprio a Maria;
  • La vittoria sulla carne e sulle difficoltà;
  • La beatitudine e l’illuminazione del Logos;
  • La dossologia finale.

Cambiando i termini sembra che sostanzialmente le due formule si assomiglino per i contenuti, stante il linguaggio un po’ più raffinato del dottore orientale, che viene dalla lunga tradizione greco-costantinopolitana, e si fa forte della Teologia dei privilegi mariani, già fortemente sviluppata in oriente. L’indicazione del Logos come fine della Consacrazione, invece che chiamarlo col nome storico, Gesù, indica la grande deferenza e il rispetto della teologia orientale per il santo Nome, e la teologia alta, veramente trascendente che da Atanasio a Crisostomo, passando per Basilio e Gregorio di Nazianzo è patrimonio della grande tradizione orientale di ispirazione giovannea.

 

2.    Formule comunitarie di consacrazione a Maria

 

La più antica e comprovata forma pubblica di affidamento alla Madre di Dio è la famosa preghiera ‘Sub Tuum presidium’ , nota nella liturgia greca, copta, romana e ambrosiana, presente sin dal III secolo nelle formule liturgiche dei cristiani.

Così suona, tradotto dal greco in latino, il testo ritrovato ad Alessandria d’Egitto su papiro, nel 1917:

Il testo latino attuale pone dei complementi, probabilmente legati alla Chiesa di Roma. Questo testo è quello attualmente accolto nella liturgia romana:

 

Sub tuum praesidium confugimus,

Sancta Dei Genitrix.

Nostras deprecationes ne despicias

in necessitatibus,

sed a periculis cunctis

libera nos semper,

Virgo gloriosa et benedicta.

 

 

La sua teologia è molto semplice ma intensa: si tratta di rivolgersi al ‘Presidium’, letteralmente all’’accampamento militare’, di Maria, per ottenere Misericordia, la protezione divina. Per essere liberati dai mali presenti (necessitatibus) e da ogni altra tentazione (periculis cunctis).

Si tratta di uno straordinario atto di fiducia nella Mediazione onnipotente di Maria, la Quale è ritenuta capace di scacciare i mali presenti (probabilmente le persecuzioni, che, anche se di breve durata, imperversavano frequentemente e molto crudelmente su tutto il popolo cristiano durante tutto il II e il III secolo d.C.), nonché qualsiasi altro male che può imperversare sul popolo di Dio.

La professione di fede ‘Dei Genitrix’, presente in tutte e tre le formulazioni, anticipa di molto il Concilio di Efeso e dice di una devozione e di una ferma convinzione già presente nel popolo di Dio e nella liturgia circa la Madonna, chiamata già dai primissimi secoli cristiani ‘Madre di Dio’. Ciò dimostra il grande retroterra della tradizione cristiana nella proclamazione del primo dogma mariano (quello della Theotòkos), che non è frutto semplicemente di speculazione teologica ma della fede costante e ininterrotta del popolo di Dio.

Nell’invocazione finale c’è l’unicità della benedizione relativa o alla santità (testo copto), o alla castità (testo ambrosiano), o alla verginità (testo romano) di Maria. Sembra però non ci siano grosse differenze di significato. Probabilmente un testo tramandato per lo più oralmente deve inevitabilmente contenere differenze di espressione, riportabili però a un sostrato comune.

Comune a tutti i testi sembra la convinzione dell’elezione privilegiata di Maria nella sua posizione di eterna mediatrice.

Tra le consacrazioni comunitarie si possono annoverare anche le consacrazioni delle città a Maria.

La festa della consacrazione di Costantinopoli a Maria viene fatta risalire all’11maggio, cioè  all’atto di dedicazione di Costantino, il fondatore della città che porta il suo nome, l’11 maggio dell’anno 330. In realtà, tale dedicazione fu fatta a Cristo; ma la pietà dei patriarchi e del popolo non tardò ad attribuirla anche a Maria, che da allora è sempre considerata la protettrice della Città e dell’impero[4].

            Gli imperatori non tardarono in forza di questa consacrazione ad attribuire a Maria anche vittorie militari. La città era ‘Sua’ e nessuno poteva violarla.

Teodoro Sincello, prete costantinopolitano sotto il patriarca Sergio (610-638), racconta come Maria intervenne contro due incursioni barbariche, nel 619 e 626, combattendo lei stessa la battaglia in favore dell’impero cristiano[5]. Nella stessa omelia celebrativa, che ci serve come fonte storica per i fatti narrati, il Sincello descrive la grande devozione di Costantinopoli per la Vergine, legata alla presenza di numerose chiese a Lei dedicate e al possesso della reliquia dell’abito della S. Madre di Dio, gelosamente conservata nella chiesa di Blacherne da cui fu momentaneamente trafugata per sottrarla all’assedio[6].

 

Un secolo più tardi, Germano di Costantinopoli, forse il più grande teologo mariano dell’antichità, alla corte della ‘Città di Maria’, narra come la Vergine, per la sua potente intercessione presso il Figlio, abbia ottenuto a Costantinopoli e a tutto l’impero una straordinaria vittoria sui Saraceni, proprio il 15 agosto, festa della sua Dormizione[7].

 

[1] S. ILDEFONSO DI TOLEDO, Libro sulla Verginità di S. Maria contro tre negatori  I-XIII, in AA.VV., Testi Mariani del I millennio III, Roma 1988, pp. 683-684.

[2] “Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto ‘il primogenito di una moltitudine di fratelli’, cioè dei fedeli, e alla cui nascita e formazione ella coopera con amore di madre” (LG 63).

[3] S. GIOVANNI DAMASCENO, Omelia I sulla Dormizione (PG 96, 722).

[4] Per quanto riguarda la fede e la venerazione di Costantinopoli, «città di Maria», alla Vergine Theotokos, si veda soprattutto: A. WENGER, Foi et piété mariale à Byzance, in H. DU MANOIR, Maria, V, Paris 1958, p. 923-981; G. GHARIB, Le icone mariane. Storia e culto, Roma 1987, p. 31-50. G. Gharib, presentando l’icona intitolata «A te, condottiera invincibile» ispirata al primo verso del proemio dell’Akathistos, ricorda come la Madre di Dio, a partire almeno dal secolo V, fosse considerata segno indubitato di vittoria, protettrice di Costantinopoli, e la sua icona fosse raffigurata sui labari dell’esercito, sulle monete, sulle porte della Città (ivi, p. 130-135).

 

[5] Cfr. TEODORO SINCELLO, Inventio et depositio vestis in Blachernis ( CPG 7935).

[6] Cfr. A. DI BERARDINO, Teodoro Sincello, in Patrologia. I padri orientali (secc. V-VIII), Genova 2000, pp. 105-106.

[7] Cfr. GERMANO DI COSTANTINOPOLI, Homilia de acathisto vel de dormitine (CPG 8014).